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ciro di pers 381

la famosa cittade
cui diè l’essere e ’l nome
il Macedone invitto.
Quindi non lungi un giorno
nell’apparir della novella aurora:
— Ecco — s’udí gridare, — ecco una squadra
di veleggianti abeti. —
Destossi a quelle voci
di ciascuno guerriero
e la speme e l’ardire,
e con veloce moto
spingendo i remi e dando in preda a l’aure
da l’alte antenne le piú larghe vele,
s’affrettava il camino.
Giá giá distinta appare
di torreggianti pini
la vasta forma, e da l’eccelse poppe
scorgonsi tremolar le tracie lune,
onde certo ciascuno
che son nemici: — All’armi, all’armi — grida,
e di ferrato usbergo
il petto cinge, e grava
d’elmo pesante l’onorata fronte,
e la spada fedel s’acconcia al fianco,
tenendo ne la destra
apparecchiate le fulminee canne.
Ed ecco, ecco d’intorno
freme il ciel, mugge il mar, rimbomba il lido,
mentre i bronzi tonanti
con orridi fragori
replican quinci e quindi
gli spaventosi colpi.
Fugge timido il giorno
tra densa nube ascoso
che celando l’orror l’orrore accresce;
ne’ piú riposti fondi