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32 lirici marinisti

VI

ALLA LUCCIOLA

     Pargoletto animal cui dié natura
luce, ch’a pena fra l’orror traluce,
ogni stella del ciel ch’a noi riluce
agli occhi miei sembra di te men pura.
     Tu nel piú oscuro de la notte oscura,
che segno alcun non apparia di luce,
fida stella mi fosti, e scorta e duce
a quelle amate e desïate mura.
     Se potess’io quel che poter vorrei,
sarian men vaghe, che non son le stelle,
e tu piú vaga assai di quel che sei;
     tu sol in ciel stella saresti, e quelle,
che propizio non furo ai voti miei,
sarian di te men lucide e men belle.

VII

VENEZIA

Alta cittá, ch’in mezzo a l'onde hai nido,
adorna e ricca di bellezze tante,
ch’Amor per te, fatto d’amore amante,
lasciato ha Pafo e derelitto ha Gnido;
     quand’io l’orgoglio di fortuna infido
fuggía scacciato peregrino errante,
tu fosti a me, ch’in te fermai le piante,
dolce albergo non sol, ma dolce e fido.
     Non posso, io no, quel che poter desio;
voglio almen quel che posso; e viva e fresca
di te memoria entro al mio cor si serra.
     Piaccia or voler, quel ch’io non posso, a Dio,
e col crescer degli anni a te s’accresca
grazia in ciel, forza in mar, potenza in terra.