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372 | lirici marinisti |
XVIII
L’OROLOGIO DA RUOTE
Nobile ordigno di dentate rote
lacera il giorno e lo divide in ore,
ed ha scritto di fuor con fosche note
a chi legger le sa: sempre si more.
Mentre il metallo concavo percuote,
voce funesta mi risuona al core;
né del fato spiegar meglio si puote
che con voce di bronzo il rio tenore.
Perch’io non speri mai riposo o pace,
questo, che sembra in un timpano e tromba,
mi sfida ognor contro all’etá vorace.
E con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,
affretta il corso al secolo fugace,
e perché s’apra, ognor picchia alla tomba.
XIX
EGO SUM QUI SUM
Triplicata unitá, trino indiviso
son io che mi distinguo e son l’istesso;
e mentre in tre persone io son impresso,
io son tre, tre son uno, uno è diviso.
Son senza luogo in ogni luogo fiso,
né luogo mi comprende e son in esso;
io sol sono ed il tutto ho sempre appresso,
tutto veggio e in me sol godo e mi affiso.
Privo di estensïon, convien che mande
di mia presenza in ogni parte il dono,
ch’indivisibil si divide e spande;
e, senza qualitá, son tutto buono,
e, senza quantitá, son tutto grande:
io son chi sempre sono, io son chi sono.