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ciro di pers | 369 |
XII
LE LODI DELLA FATICA
Varcar col nuoto il rapido de’ fiumi,
l’erto dei monti superar col corso,
di feroce destrier regger il morso,
varie genti cercar, vari costumi;
errar per aspre balze ed aspri dumi
l’adiroso cinghial tracciando e l’orso;
del profondo ocean fender il dorso,
benché frema orgoglioso, irato spumi;
la sete al fonte trar, la fame al bosco,
per le nevose piagge e per l’aduste
sudar col nasamon, gelar col mosco;
di ferrea scorza aver le membra onuste,
quand’è il ciel luminoso e quand’è fosco;
delizie ed agi son d’alme robuste.
XIII
IL CACCIATORE D’ARCHIBUGIO
Solo e notturno uccellator tonante
chiama l’usato can, la fune accende;
cinto di grave cuoio il piede errante,
laberinti palustri e cerca e fende.
Immoto al fin su riva ascoso attende
tra soffi d’aquilon lo stuol volante,
ch’alia valle s’invola e al mar si rende,
mentr’a l’aurora il dí bacia le piante.
Vibra Giove alle fère unico un telo,
ma questi a lo scoppiar d’un colpo solo
mille alati cader fa al flutto, al gelo.
Che piú? s’ei può, stringendo un dito solo,
trar fulmini dall’acque, augei dal cielo,
far il piombo volar, piombar il volo!