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antonio muscettola | 357 |
XII
AL SONNO
Dall’ondoso ocean l’asse stellato
trasse la notte. Or delle cure il pondo
deposto avendo omai, gode beato
alto silenzio taciturno il mondo.
Sparse d’alto sopor premono il suolo
degli antri cavi le romite belve;
né sa de’ venti il temerario stuolo
chiamar feroce a sibilar le selve.
Della cerulea Dori il popol muto
posa le membra entro l’algoso nido,
e ’n tranquilla quïete il mar canuto
inchina i flutti a riposar sul lido.
Io sol non poso. L’amorose cure
né men porgono a me sonni interrotti;
sicché, vagando in fra vigilie dure,
sono secoli a me tutte le notti.
Non giova a me di melibei murici
stender su l’ebre lane il corpo stanco,
se mi sembrano ognor gli ostri fenici
colmi di spine a lacerarmi il fianco.
Tentai che fusser tomba al mio dolore
d’indomito Lieo tazze spumanti;
ma del Vesuvio il prezïoso umore
tosto dal duol fu convertito in pianti.
E pur del pianto mio l’onde cadenti
un cor di sasso intenerir non sanno,
e gli ardenti sospir, scherzo dei venti,
per lo vano del ciel dispersi vanno.
Oh quante volte fra’ notturni orrori
inghirlandai le dispietate soglie;
ma, per mio mal, quegl’intrecciati fiori
giá non fruttâro al tristo cor che doglie.