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356 | lirici marinisti |
X
AL LEGNO DELLA CROCE
Te sol, tronco divin, bramo ed anelo,
de l’empireo giardin parto fecondo,
in cui depose il redentor del mondo,
fenice eterna, il suo corporeo velo;
carro ove colmo di pietoso zelo
trionfò Dio del fier serpente immondo,
beato Atlante che reggesti il pondo
del ciel non giá, ma del signor del cielo;
sacro, beato e riverito legno,
tu appresta a l’alma, d’empia sorte a l'onte
quasi cadente omai, forte sostegno.
Giá d’ascender al ciel le voglie ha pronte:
falle tu scala, o su ne l’alto regno
perché possa poggiar, formale un ponte.
XI
AL MONTE VESUVIO
Per il sangue di San Gennaro
Potrai ben tu, co’ tuoi volanti ardori,
alzarti il trono in fra gli eterei lumi;
stender potrai co’ temerari fumi
in faccia al chiaro sol notte d’orrori.
Ma con le furie tue danni e terrori
dare a Napoli mia non ben presumi;
spegnon del foco tuo gli ampi volumi
del mio Gennaro i sanguinosi umori.
Queste lucide ampolle, ove il sovrano
sangue si serba, del tuo incendio tetro
son mète imposte all’ardimento insano.
Ecco, giá volgi i tuoi furori addietro;
ché sa di Dio l’onnipotente mano
fare a fiumi di foco argine un vetro.