Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
antonio muscettola | 353 |
IV
LA DONNA CHE LEGGE L’UFFICIO
Di sacri fogli a le celesti note
Lilla, giá fatta pia, gli occhi volgea,
ed al suol inchinata, al cielo ergea
con basso mormorio preci devote.
Ma se lá su tra le stellanti rote
con la bilancia sua soggiorna Astrea,
cruda beltá, di mille morti rea,
impetrarne pietade, ah, che non puote!
Ché se ben china par che ’l cielo adori,
gode a la sua beltá mirar prostrata
schiera infelice d’adoranti cori;
e, chiusa a’ pianti ed a’ sospir l’entrata,
strali avventando e fulminando ardori,
mentre prega pietá fassi spietata.
V
ATTEONE E DIANA
Pittura di Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro
Invan per l’ira tua, Cinzia sdegnosa,
estinto giacque in su l’etá fiorita
il bel garzon, ch’a le tue ninfe unita
ti vide ignuda ne la valle ombrosa.
Ecco d’immortal destra opra famosa
fa che mal grado tuo ritorni a vita,
e rieda a vagheggiar con vista ardita
del tuo bel corpo ogni vaghezza ascosa.
Ben te ravvisa minacciosa e fèra,
e pur, quasi li fosse il rischio ignoto,
non prende ad iscampar fuga leggiera.
Ah, che ’l mortal periglio è a lui ben noto;
ma, nel mirar la tua bellezza altera,
pien di dolce stupor rimansi immoto.