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348 | lirici marinisti |
XVI
LA FENICE
Ne l’indico orïente,
nobil parte del ciel, porta del giorno,
sen vive eternamente,
di mille pregi adorno,
di morte ad onta, un immortal augello,
fra le schiere volanti unico e bello.
Il suo bel capo ha d’ostro,
l’ali son d’oro, il collo è azzurro eletto,
gemma somiglia il rostro,
vivo smeraldo il petto,
ne la sua coda alto splendor riluce,
gemino sole è l’una e l’altra luce.
Mostra ne l’andar solo
augusta maiestá, regio decoro,
varca le nubi a volo
se spiega i vanni d’oro,
e verso il ciel cosí veloce ascende,
che l’augello di Giove ira ne prende.
Se scorge aver per gli anni
deboli le virtú, gravanti l’ale,
tarpati e bassi i vanni,
e ’l suo valor giá frale,
in quella parte il suo bel volto affretta,
che da fenice vien Fenicia detta.
Quivi in limpido fonte,
chiuso da’ boschi, il nobil corpo immerge,
e vòlta a l’orïente
scioglie il canto e si terge;
indi s’inalza e la sua pira appresta:
vitale io la dirò piú che funesta.