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346 | lirici marinisti |
XII
DURANTE LA RIVOLUZIONE DI NAPOLI DEL 1647
Ai nostri danni è scatenata Aletto
e della guerra in man porta la face;
schiera imbelle e plebea fatta è pugnace,
il prode e ’l forte è di fuggir costretto.
Religïon, pietá non han ricetto
nello stuol troppo fiero e troppo audace:
— Armi, armi — grida, e timida la pace
non ha piú sangue in fibra e fibra in petto.
Ecco falso l’amor, la fede infida;
terminan l’accoglienze in tradimenti,
l’amicizia è sacrilega, omicida.
Sovente avvien che nelle furie ardenti
il figlio il padre, il padre il figlio uccida.
Oh novo inferno d’anime languenti!
XIII
A DON GIOVANNI D’AUSTRIA
invocando l’arrivo di lui a Napoli
Seconda il volo degli ispani abeti,
o rege dell’eoliche foreste;
vadano altrove a scaricar tempeste
gli orgogliosi aquilon, gli euri inquïeti.
D’april fiorito ai dí sereni e lieti
non siano piú l’atre procelle infeste;
d’Austria all’eroe faccian carole e feste
con le nereidi la cerulea Teti.
Al lito di Partenope le schiere
giungan del Beti glorïose e forti,
a incatenar Tesifoni e Megere.
Ché mal possono piú nostre coorti,
benché di posse intrepide e guerrere,
cibare i vivi e sepellire i morti.