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324 | lirici marinisti |
IV
LA VITE IMPORTUNA
Vite importuna, al viver mio rubella,
quanto m’offende il tuo malnato stelo,
mentre col verdeggiante ombroso velo
il mio bel Sol m’ascondi, invida e fella!
Lo tuo frondoso crin laceri e svella
del piú freddo aquilon l’orrido gelo;
tuoni da l’alte nubi irato il cielo
e versi sul tuo capo empia procella.
Ma teco forse a torto ora mi sdegno;
chi sa che Clori, al mio martír costante,
non apprenda pietá da quel tuo legno?
che, mentre tu con tante braccia e tante
stretta t’annodi intorno al tuo sostegno,
impari anch’essa ad abbracciar l’amante?
V
LA DONNA PREGANTE
Da la sua bella stanza, ove di vote
Clori le preci sue dal cor sciogliea,
colmi d’ogni pietate orando ergea
gli occhi stillanti a le stellanti rote.
Al centro ove tenea le luci immote,
supine ambe le mani ella volgea,
ove dai labri ancor volar facea
su l'ali de’ sospir calde le note.
— Beltá che supplicando e piange e plora
ah, che non può! — diss’io: — ben certo piega,
non che ’l cielo a pietá, l’inferno ancora. —
Ma mi disse un pensiero: — Indarno prega
costei, che sí crudel m’affligge ognora,
ché non trova mercé chi altrui la nega. —