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290 | lirici marinisti |
XII
ESTATE E VINO
Non piú benigni raggi, amici lampi
sparge, ma vibra il Sol dardi nocenti:
tacciono in mare i flutti, in aria i venti,
manca il rio, secca il prato, ardono i campi.
Perché da tanto ardor s’involi e scampi,
cerca ogni fèra indarno ombre e torrenti;
par che diluvi il cielo influssi ardenti
e in pelago di fiamme il mondo avvampi.
Arsiccio il suol con tante bocche e tante
quant’apre in lui caverne il fiero ardore,
chiede invan refrigerio al ciel fiammante.
Or chi dunque sará che ne ristore?
Amor no, ch’ei non meno arde ogni amante:
Bacco, sia nostro scampo il tuo liquore.
XIII
A GIOVAN VINCENZO IMPERIALE
per la sua villa di Sampierdarena e pel suo matrimonio con Brigida Spinola
Quanto la terra e l'acque han di gentile,
quanto natura ed arte han di diletto,
Clizio, quasi in compendio hai tu ristretto
ne le tue ville, appo cui Pesto è vile.
Qui stagna piú d’un lago al mar simile,
qui scorre piú d’un rio ch’erboso ha il letto,
e del verno crudel quivi al dispetto,
coronato di fior s’eterna aprile.
L’acqua ne’ fonti in vari scherzi ondeggia,
gode la terra in villa, e ricca mole
sostien sul dorso, imperïal tua reggia.
Le bellezze del ciel mancavan sole:
or non piú no, poiché fra lor lampeggia
Brigida tua, ch’ha ne’ begli occhi il sole.