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288 | lirici marinisti |
VIII
ALLA COMICA LAVINIA
Mentre con umil socco in cari accenti
tutto il regno e i tesori apri d’Amore,
non è, Lavinia, chi gli strali ardenti
per te d’amor non senta dolci al core.
Se col coturno spieghi aspri lamenti,
non è cor che non gema al tuo dolore;
se favellando giri i rai lucenti,
alma non è che non ne provi ardore.
S’apri le labbra al riso o gli occhi al pianto,
non è sí duro cor, che a te soggetto
possa di libertá piú darsi il vanto.
Ma, sia tragico o lieto, ogni tuo detto
è sempre finto, ed altri prova intanto
non finto duol, non finte piaghe al petto.
IX
A UN’ATTRICE DI TRAGEDIA
Quando al lugubre suon di mesti accenti,
bella e faconda mia, sfogasti in scena
per tragico accidente interna pena,
pendé tacito ognun da’ tuoi lamenti.
Né mai sí dolce a le sue voci attenti
tenne nocchieri in mar blanda sirena,
né in selva rinovò mai Filomena
con sí soave suon casi dolenti.
Allor che tu piangesti, a que’ tuoi pianti
piansero mille luci, al tuo pallore
fûr visti impallidir mille sembianti.
Ma un solo e finto stral del tuo dolore
fe’ doppia e vera piaga a mille amanti,
e fu piaga di duol, piaga d’amore.