Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
bernardo morando | 285 |
II
INAPPAGAMENTO DEL BACIO
Ecco pur, labra mie, rompeste al fine
l’amoroso digiun nel cibo amato;
avete pur il nettare libato
da l’animate rose porporine.
Or che piú bramo? Ahi, che non giunge a fine
il desio sitibondo innamorato:
bevver le labra e il cor resta assetato,
baciai le rose e sento al cor le spine.
Bevvi, assaggiai non so s’ambrosia o fiamma;
so ben ch’il fiero ardor piú sempre abbonda,
né de la sete mia manca pur dramma.
Come ad egro talor sete profonda
breve sorso non tempra, anzi l’infiamma,
cosí io bevvi gran foco in picciol’onda.
III
INAPPAGAMENTO IN AMORE
Ben veggo, Amor, che il cibo tuo non pasce,
o pur pascendo accresce fame al core;
a pena un tuo desio tramonta e muore,
ch’un altro sorge e pargoleggia in fasce.
Un sol desio che muore avvien che lasce
ben cento eredi, ognun di sé maggiore:
idra se’ tu di mille capi, Amore,
a cui piú d’uno, al troncar d’un, rinasce.
Sei di Tantali mille un lago Averno,
una ruota immortal d’alme meschine,
dei cori umani un avoltoio eterno.
Sei mar che non ha termine o confine,
confin di questa vita e de l’inferno,
inferno in cui l’ardor mai non ha fine.