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giuseppe salomoni 281

non hanno altro che ’l suono,
e sol tra noi mortali han questo vanto
ch’han dolce sí, ma infruttuoso il canto.
     Ma tu vie piú felice,
sonora ambasciatrice,
col tuo, non men che grave,
stridor caro e soave,
n’annunci or per le selve or per le rive
la venuta del cibo onde si vive.
     Tu sembri alora quando
t’affatichi cantando
dir al villan, che lasso
al Sol raggira il passo:
— Suda e raccogli, o mietitor, la spica,
ché madre del riposo è la fatica! —
     Sembri una tromba agreste,
che richiami e che déste
del rustico guerriero
il braccio adusto e nero
a far col ferro suo torto ed acuto
strage del biondo esercito granuto.
     Ma che? non s’ode stile
al tuo pari o simíle;
ti cede il raparino,
t’onora il lucherino,
ed è col calderugio e col fringuello
presso il tuo rauco stil rauco il fanello.
     Vinto ti cede spesso
il rosignuolo anch’esso,
ritien presso te muta
Progne la lingua arguta,
né spande augel per l’aria o voce od ala,
che divenir non brami una cicala.
     Né giá per meraviglia
deve altri alzar le ciglia,
se tu fra gli altrui canti