Comincia: — Or chi di voi, giudice reo,
condannar temerario or mi presume,
per compiacer sí fier tiranno ebreo?
Ben del giudicio ha ottenebrato il lume,
e ben mostra di senno in tutto oscuro
de l’ingegno tarpate aver le piume.
Scorgo il vostro parer torto ed impuro;
o mi dannate o m’assolvete intanto,
de le vostre sentenze io nulla curo.
Ma chi vi dá tanta baldanza e tanto
ardir di condannar donna innocente,
che di casta riporta il pregio e ’l vanto?
Ben ciascuno è di voi scemo di mente,
che di sí crudo e barbaro tiranno
a l’infame parer tosto consente.
Ma il ciel che mira il torto e osserva il danno,
chiamo sol punitor di tanta offesa,
chiamo vendicator di tanto inganno! —
Cosí, sdegnosa in atto e in volto accesa,
la donna ferocissima dicea,
senza cercar, senza trovar difesa.
Bella, casta e gentil, sovra ogni ebrea
riportava il trïonfo, ergea la palma,
s’eguale a la beltá modestia avea.
Ma donna cosí bella, inclita ed alma,
freno all’ira non diede, e nel bel volto
la luce intorbidò di sí bell’alma.
Non deve spirto in regie membra accolto
farsi signoreggiar, servo del senso,
da l’insano furor torbido e stolto.
Sgombri il fumo de l’ira in petto accenso,
che del chiaro intelletto offusca il sole,
qual nemico vapor torbido e denso.
Costei, quantunque sia di regia prole,
troppo nel suo garrir si mostra audace
ed in furie trabocca ed in parole.