A tal dir resta il re tacito e muto,
qual veltro che famelico talvolta
sol per ésca cercar resta battuto.
Ei vergognoso altrove i passi volta,
e la sete del cor soffrendo ardente,
l’onda ch’in van bramò vedesi tolta.
Da la mensa ritorna il dí seguente;
di dolcezza e di vin ebro e fumante
di lussuria avampar maggior si sente.
Verso il caro suo ben corre anelante,
ma, scacciato di nuovo, egli s’accorge
di nemica beltá trovarsi amante.
A la repulsa infurïato ei sorge
dal letto marital rapido e presto,
quando in premio d’amor tant’odio scorge.
La cagione saper brama di questo;
ond’ella irata al fin con questi accenti
fece noto il suo cor turbato e mesto:
— Vuoi, traditor, ch’al tuo voler consenti
e chiami te, che nell’amarmi infingi
e bugiardo nel dir falseggi e menti?
So come le tue frode ombri e dipingi
di falsitá; come, amator fallace,
l’infida lingua a lusingarmi spingi.
Se questa (qual si sia) beltá ti piace,
e s’io ti serbo fé costante e forte,
come, o crudel, ch’io viva oggi ti spiace?
Se mi leghi in amor dolce consorte,
come per atterrar l’egra mia vita
nodo in me trami poi d’occulta morte?
Non hai tu con Soemo insidia ordita,
che da lui resti uccisa? Empio mio fato,
misera me, sí a torto oggi tradita!
Questo è l’amor che tu mi porti, ingrato?
questa dunque è la fé? Va’, ch’io non credo
a parole di re crudo e spietato.