Vedea de’ suoi nemici aver trofeo,
di sue fatiche inaspettati onori,
e di nuovo seder nel trono ebreo.
Un dí, tornando a’suoi lascivi amori,
condur si fe’ la sua real consorte,
che per abiti aveva porpore ed ori.
Egli volea che di sua lieta sorte
godesse ancor la peregrina sposa,
gioisse ancor l’ambizïosa corte.
Ma turbata la vide e in sé sdegnosa,
né a lui, siccome pria, lieta in aspetto,
venne a far di beltá pompa amorosa.
Ei, che nutre per lei sí caldo affetto,
che sfavilla in amor, ch’anela ardente,
de l’insolita vista ha dubbio il petto.
— Qual cosa, anima mia, fia sí possente
a turbarti — le dice, — or ch’io ritorno
d’allegrezza e di gioia ebro e ridente?
Devi tu, mentre ognun m’applaude intorno,
piú d’ogni altra goder lieta e festante,
e in diamante segnar sí fausto giorno.
Come, o sposa diletta, allegra avante
non mi fai di tue braccia oggi catena,
nel tuo sen non m’accogli avida amante?
Lasso, ogni mio gioir converti in pena,
mentre in sí bella eclissi oggi m’ascondi
vista sí dolce candida e serena.
Chi ti turbò, cor mio, ben mio? rispondi!
Farò, farò che ’l temerario mora,
che fu cagion de’ tuoi dolor profondi.
Oh Dio, che cosa è quel che il cor t’accora?
di’ pur, comanda pur; quanto richiedi
eseguirò, per compiacerti, or ora.
Non solo io vo’ che ’l regno mio possiedi,
ma il dominio del cor siati concesso;
sia tuo quanto in Giudea scopri e rivedi.