Attuffato nel ghiaccio, esposto a l’oro,
generoso Lieo spumante brilla,
che ’n tazza di finissimo lavoro
con soave allegria placido stilla.
Sontuoso teatro, altera scena
di figure e di lumi erge a suo vanto,
ove ispana leggiadra il ballo mena
e marito del ballo unisce il canto.
Ahi, ch’onesto rossor piú non inostra
in donnesca bellezza il bianco viso;
lascivetta in andar gli abiti mostra,
lussureggia nel petto, arde nel riso.
De la chioma sua bionda il campo adorno
con rastrello d’avorio ara e coltiva;
poi vi semina odori e sparge intorno
di licori sabei pioggia lasciva.
A che dentro le pompe alma bellezza,
e tra fregi non suoi giace sepolta?
Schietta e nuda beltá via piú si prezza,
tanto meno è gentil quant’è piú cólta.
Oh d’umana follia prova superba!
Sa ch’ogni opra de l’arte al fin rovina,
sa che sparsa nel Tebro arena ed erba
ricopre ancor la maestá latina.
Cadde Menfi superba e Caria illustre,
cesse a l’armi del tempo Argo e Micene,
e sepolta in oblio fosco e palustre
fra le nottole sue sta cieca Atene.
Le piramide sue trovi, se puote,
glorïoso l’Egitto e ’l Nilo altero;
Troia miri le mura a pena note,
che fêr sí grande il suo temuto impero.
Trovi Rodi il colosso, Efeso il tempio,
miri tumido Creso oggi il suo trono;
contro i colpi del tempo ingordo ed empio
i romani trïonfi ove ora sono?