custodita e riposta oggi tra chiavi,
fa per opra de l’arte opre stupende,
con soave rumor dai piombi cavi
le reggie illustri ad arricchir discende.
Non piú rustiche paglie, aspri fenili,
rozzi e poveri velli, ispidi stami;
ma molli sete e prezïosi fili
fanno al regio suo tetto ombre e ricami.
Pendono in giú per le sue logge arcate
mille d’aureo lavor tappeti industri,
e ne le mura e ne le travi aurate
mille ammiri d’eroi memorie illustri.
Del piú famoso e nobile metallo
il suo ricco balcon cerchia sovente,
e dei monti rifei puro cristallo
fa ne le sue fenestre ombra lucente.
Ei, gonfio il cor d’ambizïose voglie,
calcar povero suol rifiuta e sdegna;
pavimenti gemmati, aurate soglie
il suo nobile piè toccar sol degna.
Nel suo morbido letto ombrando il lume,
padiglione si leva alto e pomposo,
e fra lini odorosi e bianche piume
presta al languido corpo agio e riposo.
Vengon a esercitar musiche danze
donzellette lascive in ricca veste;
spirano arabo odor le regie stanze,
e fra dolci armonie s’odono feste.
Fra cancelli d’argento in aria appeso,
prigioniero giocoso, il verde augello
qui da l’India remota a lui disceso,
mille nomi ridir sa vago e bello.
Mille d’argento e d’òr conche e vasella
sopra candido lin prepara e spande,
ove miri in sua mensa agiata e bella
odorosi fumar cibi e vivande.