Qui, leggiadra Coreglia,
ove l’ombre piú dolci il monte serba,
meco il dí ti vorrei tra’ fiori e l’erba.
Ecco il lauro, ecco il mirto, ecco la teglia,
che fra mille d’amor zefiri ameni
mormorando ti chiama e dice: — Vieni. —
Vieni, o saggia Nerina,
pastorella gentil, musica ninfa,
ove giubila qui l’aura e la linfa.
Ma tu, nova fra noi musa divina,
degni fai di tue luci oneste e pure
altri colli, altre ripe, altre pianure.
Tu sotto il clima tosco,
bella italica Saffo, al mondo splendi,
e ’l tuo picciolo Serchio augusto rendi;
di civil maestá si veste il bosco,
qualor prendi la piva e mandi fuora
dal rubino spirante aura canora.
Mille pinti augelletti
odi intorno cantar dolci e lascivi,
ne le cortecce ove intagliando scrivi.
Riverisce il pastor gl’incisi detti,
e son tanto i caratteri soavi,
che l’ape corre e vi compone i favi.
Cangia l’empia fierezza
in costume gentil l’aspido sordo
e porge al tuo cantar l’orecchio ingordo;
e tanta dal tuo dir beve dolcezza,
ch’a l’armonia de la tua bella canna
il veleno ch’avea converte in manna.
L’aria in vista s’allegra,
dal tuo vago splendor resa tranquilla,
e rose e gigli il ciel piove e distilla;
e benché in spoglia vedovile e negra
apparisci colá, tosto al tuo viso
l’ombra in luce si cangia e ’l pianto in riso.