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246 lirici marinisti

     Ivi, mentre respiro,
fra due valli mi fermo ombrose e cupe.
Ove si sporge fuor diserta rupe,
sorger tempio devoto al ciel rimiro,
aula sacra di Dio, ch’infonde al petto
riverenza, stupor, téma e diletto.
     Santo e romito stuolo,
ch’ha di cenere sparsa ispide vesti,
spira qui con silenzio aure celesti:
ricco di povertá, solingo e solo,
ha d’irsute ritorte il fianco avvolto,
scalzo il piè, rozzo il manto e magro il volto.
     Aer sacro e sereno,
che di dolci pensier m’empie la mente,
ventilando di lá, spira sovente;
d’usignuoli selvaggi il loco è pieno,
ivi vengono e van gli augelli erranti;
ciascun, dubbio, non sai se pianga o canti.
     In quel tempio sacrato
tuona concavo bronzo, alto e canoro,
che la sacra famiglia invita al coro:
non da fabbro mortal sembra formato,
ma d’angelica man, ché, mentre suona,
come lingua del ciel parla e ragiona.
     Ben composto orticello
di spinosi roseti intorno cinto,
godo di vaghi fior smaltato e pinto;
poi, quando spunta il primo albor novello,
lascio le piume e per le siepi ombrose
di qua colgo e di lá fragole e rose.
     Quante belle farfalle
vagabonde e dipinte aprono i voli,
e quanti arguti e queruli usignuoli
fan qui col canto lor sonar la valle!
Ride il campo ed olezza, e lieto in viso
ogni fior che germoglia apre un sorriso.