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186 | lirici marinisti |
II
LE «FÈRE D’AVORIO» TRA I CAPELLI
Sembran fère d’avorio in bosco d’oro
le fère erranti onde sí ricca siete;
anzi, gemme son pur che voi scotete
da l’aureo del bel crin natio tesoro;
o pure, intenti a nobile lavoro,
cosí cangiati gli Amoretti avete,
perché tessano al cor la bella rete
con l’auree fila ond’io beato moro.
O fra bei rami d’or volanti Amori,
gemme nate d’un crin fra l’onde aurate,
fère pasciute di nettarei umori;
deh, s’avete desio d’eterni onori,
esser preda talor non isdegnate
di quella preda onde son preda i cori!
III
A CAMILLO BAFFI
Per domandargli la propria «nativitá»
Scrivea nel ciel caratteri di stelle
con la penna de’ raggi il mio natale
il Sol, chiaro scrittor d’oscuro annale,
de le fortune mie benigne e felle.
Dicean le gieroglifiche facelle
d’ogni fortuna mia l’ora fatale;
ma non sa sporre interprete mortale
note di ciel misterïose e belle.
Tu, che sovente al ciel t’ergi vicino,
discepolo di Febo, anzi sua prole,
Esculapio celeste, Orfeo divino;
apri i segreti de l’eteree scole,
tanto ch’intenda anch’io nel mio destino
del linguaggio del ciel l’alte parole.