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antonino galeani | 181 |
IV
LA RANA
Lá tra i giunchi palustri e l’alga immonda
odi gracchiare, o Filli, in strana foggia,
figlia del fango e de l’estiva pioggia,
quella verde loquace in grembo a l’onda.
O che ’l piú cupo gorgo in sen l’asconda,
o nuoti all’aure o s’in pantano alloggia,
inver’ la sponda avidamente poggia,
se mai face apparir vede a la sponda.
Purché godano gli occhi al caro lume,
dimenticata ogni contraria sorte,
v’arde il cor di desio, se non ha piume;
né cura o vede che quel raggio acceso
è fiaccola parata a la sua morte...
Tal de’ tuoi lumi al lume anch’io fui preso.
V
IL DONO DEL LEPRE
Questo bel leprettin, ch’a me dal braccio
pendente prigionier l’orecchio rese,
ch’ognor fa, ranicchiandosi, difese,
per levare a te ’l dono, a sé l’impaccio;
non fu tolto al covile o còlto al laccio,
di degno cacciator men degne imprese;
ma questo piè col piè di lui contese,
se ben rovescio ne cadei sul ghiaccio.
Non sprezzar, Lilla, il don, che, se nol sai,
accresce la beltá s’è cibo a noi.
Tienlo, ché fuggirá; stringi, che fai?
Ma che guardi? che ridi? e che dir vuoi?
Ch’esser bella e fugace imparerai?
Piú bella e piú fugace esser non puoi.