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II

I NASTRI SEDUTTORI

     Diman che festo è ’l dí, col crin ripieno
di nastri Egle vedrete, occhi dolenti;
di que’ nastri, di cui miraste intenti
far ieri acquisto a la cittá Sireno.
     — Per Egle sono — infra me dissi; — almeno
perduto avesse i pattuiti argenti,
o perda sé, pria che col don la tenti! —
Tal ne sentia geloso picchio al seno.
     Sii cauta, o bella; di quei nastri ei trama
lacci a l’onore e, credi a me, n’avrai,
via piú che fregio al crin, sfregio a la fama;
     ché l’indegno amator giá tra caprai
gloriando si va (vedi se t’ama!)
ch’avranne in cambio... Io nol vuo’ dir: tu ’l sai!

III

IL BALLO GALEOTTO

     Lilla, i’ mel veggio, il cittadino Aminta
piú che a’ suoi campi, a tue bellezze attende,
e la tua fama ed il mio core offende,
e pur lo stringi, seco al ballo accinta.
     Tu ’l neghi? e che dirai se sei convinta?
Su la man che tu prendi e che ti prende,
chi non vede restar, se ben v’attende,
la stampa a’ diti ed a pallor dipinta?
     Ahi, fai rosse le gote e ’l ciglio hai basso!
Perché rossor la guancia, allor, non veste?
perché a lui, come a me, non sei di sasso?
     Se tra le belle sei, sia tra le oneste;
ché villanella al cittadino è spasso,
ma ’l cittadino a villanella è peste.