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170 | lirici marinisti |
II
SENSO E RAGIONE
Apria bocca vermiglia un vago riso,
occhio azzurro vibrava aureo splendore,
guance rosa spargea del suo colore
dove piú dove meno in un bel viso.
Nel mirar quel seren, da sé diviso
per l’estremo diletto era ogni core;
questo potea ben dirsi il dí d’amore,
d’amor la primavera, il paradiso.
Chiuse gli occhi il mio volto, aprigli il seno;
era (oh stupor!) la primavera inverno,
la rosa spina, lo splendor baleno;
il breve riso, ésca di pianto eterno;
notte il giorno, tempesta era il sereno,
duolo il diletto, il paradiso inferno.
III
VANITAS VANITATUM
Tu, che giamai non ti contenti e vuoi
laute mense bramar sotto aurei tetti,
consorte eccelsa entro a gemmati letti,
esercito di servi a’ cenni tuoi;
di regnar dagli espèri a’ lidi eoi,
di canti e melodie dolci diletti,
di cacce e di tornei giocondi aspetti,
quando alla fin tutto ottenessi... E poi?
In breve è nulla. Ed anco è nulla adesso
se tu lo paragoni al ben ch’è vero,
e sol ti sembra ben perch’è d’appresso.
E corta hai tu la vista. Occhio sincero,
se lo mira e multiplica in se stesso,
ritroverá zero via zero, zero.