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168 | lirici marinisti |
II
OCCHI CASTI
Mortal bellezza ascoso il foco tiene
per assalir chi ’l guardo non reprime.
Ahi, mentre cauto a terra non s’adime,
ratto l’ardor li scorre entro le vene!
Ch’è varco l’occhio al cor, onde sen viene
l’imagin de l’oggetto e vi s’imprime.
Se dunque fia che sua salute stime,
schivi mirar lá dove non conviene.
Alle pupille l’uno e l’altro lume
delle palpebre tien pronto lo schermo,
ch’a tempo è di celarle arbitro e donno;
come vergini in sacro chiostro ed ermo,
che di velarsi il volto han per costume,
sí che non vedon né veder si ponno.
III
LA FONTANA
Qui, dove sorge la volubil onda,
arresta i passi, o pellegrino, e intento
in mille guise il bel limpido argento
mira cader del fonte in sulla sponda.
S’erge altronde l’umor ch’in copia abbonda,
in stille altronde piove; indi non lento
vibrasi in giuso, e quivi in un momento
sale e in sé torna ond’è ch’in sé s’asconda.
E mentre or poggia or cade o in sé si rota,
talor si spande, or sé medesmo fiede,
sí d’uno in altro moto si trasforma,
che, sebben nel cristal mobile immota
sua sembianza abbia il fonte, l’occhio crede
ch’ognor si cangi in varia e nuova forma.