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II

LA BELLA PARLATRICE

     Né con sí vaghi ed amorosi accenti
narra Progne a voi, selve, i suoi dolori;
né Filomena i suoi secreti amori
con sí facondo dir commette ai venti;
     né sí rotto fra sassi i piè lucenti,
mormora il rio lungo il pratel de’ fiori,
come la bionda mia leggiadra Clori,
mentre a l’amica sua spiega i tormenti.
     Un fiume d’òr, che di rubini ha sponde,
scogli di perle, il suo parlar simiglia;
ma come arciero il cor punge e saetta.
     Deh, qual veggio d’amor gran meraviglia!
lingua chi mosse mai sí dolce, o donde,
se non forse dal ciel scesa angioletta?

III

L’AMOROSA IMAGINAZIONE

     Amor, che mal mio grado mi trasporta
a far mia stanza in solitario monte,
nei fior, ne l’erba, in verde faggio, in fonte
mi figura colei che ’l mio cor porta.
     Onde io, vòlto a seguir sí fida scorta,
e mirando or le luci al ferir pronte,
or gli atti onesti or le bellezze conte,
sento un dolce piacer che mi conforta.
     E mentre a le sembianze amate e belle
son fiso, io veggio uscir la notte o ’l giorno,
e l’un l’alba condur, l’altra le stelle;
     e passar fère a l’ombra, al rivo, al prato,
e far gli armenti a lor magion ritorno...
Me solo in un pensier tien fermo il fato.