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156 | lirici marinisti |
II
MUSICA NOTTURNA
Tu, che fra le caligini profonde
spiri armonia, de la tranquilla notte
le dolci pose dolcemente rotte
che del fiume leteo stillano l’onde,
ben sembri chi di Lete in su le sponde
fra l’ombre giá de le tartaree grotte,
per trarne le bellezze ivi condotte,
sciolse dal mesto cor note gioconde.
Quindi ben io l’orride pene intanto
di questo scorgo invisitato inferno
a sí placido suon temprarsi alquanto.
Ecco, arresta la luna il moto eterno;
stupisce forse, poich’un simil canto
fra gli orrori ascoltò del nero Averno.
III
SEDENDO GIUDICE IN TRIBUNALE
Io, che giudice altrui qui siedo in trono,
son fatto reo di deitá terrena;
io, ch’a le colpe altrui parto la pena,
a chi pena mi dá, lasso, perdono.
Quell’io, ne la cui man che punge e frena,
e l’altrui vite e l’altrui morti sono,
a l’empia feritá di tigre armena
de l’egra vita mia l’imperio dono.
Altri al mio spesso riverito sguardo
timido agghiaccia; ed io, se miro mai
un bel volto avvampar, l’adoro e n’ardo.
Giudice, invero, avventurato assai,
se, qual giudice Ideo, giamai riguardo
di mia Venere ignuda i bianchi rai!