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giambattista basile | 153 |
II
PER L’INCENDIO DEL VESUVIO DEL 1632
Mentre d’ampia voragine tonante
fervido vedi uscir parto mal nato,
piover le pietre e grandinar le piante,
spinte al furor d’impetuoso fiato,
e i verdi campi giá sí lievi avante
coprir manto di cenere infocato,
e ’l volgo saettar smorto e tremante
solfurea parca, incendïoso fato:
— Ahi! — con lingua di foco ei par che gridi —
arde il tutto, e sei pur alma di gelo;
tu nel peccar t’avanzi e ’l mar s’arretra.
Non temi, e crollar senti i colli e i lidi;
non cangi stato, e cangia aspetto il cielo;
disfassi un monte, e piú il tuo cor s’impetra! —
III
LA BELLA CHIOMA
Sovra gli omeri bianchi
via piú che freschi gigli e pure brine,
l’aureo mar ondeggiava del bel crine,
e al dolce lusingar d’aura seconda
rendea piú chiaro l’òr, piú ricca l’onda.
Cosí, lucente e vago
copre l’arena d’òr superbo il Tago,
e cosí ’l Gange ancora
l’illustre riva alteramente indora.