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142 lirici marinisti

     Era nel tempo allor che in trono ardente
coronato di raggi il Sol sedea
e ne l’aria accampar duce potente
con falangi di fiamme alto parea;
struggeasi in foco il tutto e riverente
a l’aspetto di lui l’aura tacea;
par che acceso stupor la terra ingombre,
fugge il fresco nel centro e fuggon l’ombre:
     quando quivi fur viste ignude a l’onde
vaghe ninfe tuffarsi e vaghe dee:
tra nereidi cosí liti gioconde
vengon dolci a mischiar l’alme napee;
rideva il mare e germogliar feconde
bianche spume parean di Citeree.
Cosí a l’erm’acque, ai ciechi sassi, a l’òre,
spettacol di sue pompe offerse Amore.
     Lega in trecce una il crin, l’altra il figura
piramide gentil d’oro con oro;
questa al vento il dá preda e di natura
fa ne l’aria ondeggiar crespo tesoro;
fállo incolto cader quella e nol cura,
de’ morbidi alabastri aureo lavoro;
gli occhi azzurri una tien, ma pura luce
da due neri levanti altra ci adduce.
     Clizia ha d’ostro le guance; un puro latte
in faccia ha sol la delicata Irene;
Silvia per tutto le sue nevi intatte
tempestate di rose intorno tiene;
di dolci baci al molle invito fatte
di rugiada d’amor gravide e piene
ha due porpore Filli e par che scocchi
dolce riso con lor, ma pria con gli occhi.
     Spira con grato e con mortal diletto
da mantice gemmato Armilla i venti;
l’alma Clori consuma in vago affetto
al dolce foco di rubini ardenti;