Certo è pietá far che vulgare e cruda
man col laccio o col ferro in me non privi
del suo corporeo vel l’anima ignuda!
Regio e degno pensier ch’altri l’avvivi
con lode ognor, rubarmi il regno e il trono,
tormi la fama e me ritorre ai vivi!
E sí vil, sí schernita ancor ragiono?
vivo ancor, spiro ancor? L’uomo sí pio
pur la vita m’invola, e viva io sono?
Moro, ma pria vuo’ spento il fuoco mio;
il velen beverò, pur che ne’ miei
scorni beva ogni etá l’acque d’oblio.
A l’incendio mio spento or sí che dèi
scaldar l’alma col gel, mentre al mio foco
breve punto scaldarti non potei.
Non sarò piú di te favola e gioco,
chiuderò gli occhi ove al tuo amor gli apersi,
avrá in vece d’amor l’odio in me loco.
In preda ai venti poi parte si versi
di quel foco la cenere gelata,
parte asciughi il mio sangue in questi versi.
Ma de la vita mia da te sprezzata,
reliquia miserabile e funesta
siasi la polve al tuo gran danno armata.
Quasi turbo sonante ed ombra infesta
io, io, rivolta in polve, ovunque andrai
t’apparirò crudel non che molesta;
sdegnerò, t’odierò quanto t’amai;
e di larve e d’orrori avvolta, intorno
turbando ove tu sia la luce e i rai,
l’ombre sol mi fian grate, in odio il giorno 1.
- ↑ Allegoria. — L’innamoramento di Massinissa con Sofonisba in mezzo dell’armi accenna quanto sia piú potente degli eserciti armati una bellezza, benché ignuda. L’aver ella nella perdita del regno, e fra le proprie catene e fra quelle di suo marito, dato luogo agli amori acconsentendo al volere altrui, significa la leggerezza e fragilitá delle donne in affetti somiglianti. Il passar poi in un subito dal letto di nozze alla bara di morte, avendo per mezzo del veleno provato il nuovo sposo ed amante omicida e nemico, ci dichiara esser vero in piú guise ciò che degli effetti d’amore testificò il greco Focilide: Amor hominum sanguine ridendo gaudet.