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antonio bruni | 131 |
Quivi, qualora il sole
con diadema di gemme e aurei lampi
de la celeste mole
scorre i prefissi campi,
riverente, adorando i tuoi candori,
ceda a le stille tue le stelle e gli ori.
XIV
SOFONISBA A MASSINISSA
Mentre gli occhi a le lagrime discioglio,
scriva la man col sangue, e quel rossore
che manca al tuo sembiante abbia il mio foglio.
Sdegno spiri il pensier vie piú che amore,
e la mia fé schernita altrui dimostri
svenato il braccio e lacerato il core.
In questi amari miei vermigli inchiostri,
s’altri gli guarda mai, spero ch’almeno
si tinga di pietá, se non s’inostri.
Sí dunque, o Massinissa, il bel sereno
de l’amor che la destra e ’l cor mi giura,
qual baleno svanisce in un baleno?
Qual rigido destin, qual ria sventura
miete in erba i miei fasti, anzi la vita?
chi su l’alba il mio dí smorza ed oscura?
Misera Sofonisba! oimè, tradita
l’hai tu, crudel, con feritá latina,
pria da te vinta e poi d’amor ferita.
De la nobil Numidia alta reina
e del regno d’Amor trïonfo altera,
il mio volto, il mio scettro ogn’alma inchina.
Gemina maestá placida impera
ne la mia fama, oltre l’Idaspe e ’l Moro,
a qual gente è piú barbara e piú fiera.