Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
116 | lirici marinisti |
XXII
NELL’OSPEDALE DEGL’INCURABILI DI NAPOLI
Ahi mondo, ahi senso! or ve’ qui tanti e tanti
in tende anguste, ancorché auguste, accolti!
Di profana beltá fûr tutti amanti,
tanto or tristi e meschin quanto pria stolti.
Per picciol riso hann’or continui pianti,
portan l’inferno ai cor, la morte ai volti,
vita speranti no, vita spiranti,
morti vivi e cadaveri insepolti.
Questi è in preda al martir, quegli al furore,
un suda, un gela, un stride, un grida, un freme,
un piange, un langue, un spasma, un cade, un more.
Quinci impara, o mortal: dolce è l’errore,
breve è ’l gioir; ma pene amare estreme
dá spesso al corpo, eterne sempre al core.
XXIII
NEL PETTINARSI
La bella Elisa arava
con terso eburneo vomere dentato
campi d’oro animato.
L’era un garzone a canto,
che i rotti stami ad uno ad un cogliea
e in sen gli nascondea.
Rise ella e disse: — Inutili capegli
a che tu serbi? — Ed egli:
— Quinci ordisco le corde a l’arco mio,
quinci le reti ond’io
impiago l’alme ed imprigiono il core.
Sappi ch’io sono Amore. —