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6 | lirici marinisti |
VI
AMORE E SPERANZA
L’ardor del nostro amore in te fu lampo,
ch’arde improviso e subito trapassa;
ma fulmine fu in me, dal quale scampo
non v’ha, perché vestigia eterne lassa.
Pur, se non morto in te, ma ascoso è il vampo
dall’onestá, che ’l copre e giú l’abbassa,
fa ch’in ciò saggia almen, porgi almen campo
a mia speranza, che non resti cassa.
Ché, perché sino a qui dubbio timore
che tu non m’ami piú mi stringe e preme,
temo che ’l temer mio spenga il mio ardore.
Non può dov’è paura essere speme,
né dove non è speme esser amore,
perch’amare e sperar van giunti insieme.
VII
IL SOGNO
Godete fra le doglie, accorti amanti,
serbando sempre adamantina fede;
ch’alfin, quando piú s’ama e men si crede,
v’è dato il guidardon di strazi tanti.
Mentre io dormiva, apparsami davanti
la bella donna che ’l mio cor possiede,
tante gioie e piacer finta mi diede,
quanti vera mi dá tormenti e pianti.
Or siemi ella crudel pur come suole,
poi ch’ho, malgrado suo, chi la fa pia
ed a forza voler ciò che non vuole.
E tu, sogno gentil, ch’ov’io languia
veder mi festi a mezza notte il sole,
torna di novo e poi partirti oblia.