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112 | lirici marinisti |
XIV
AD ISABELLA CHIESA
che rappresentava sul teatro una regina
Questi, o bella istriona, onde tu cingi
fianco e crin, regi ammanti, aurati serti,
mostrano ai guardi alteri, agli atti esperti,
ch’esser devresti tal, qual ti dipingi.
Stringer con quella mano, onde tu stringi
un finto scettro, un vero scettro merti;
t’ammirano i teatri e stanno incerti
se vanti i veri regni o se li fingi.
Sii pur finta reina: or se le vere
cangiasser col tuo stato i regi onori,
quanto gir ne porian ricche ed altere!
Ch’è gloria assai maggior d’alme e di cori
reggere il fren, che in testa e ’n braccio avere
cerchio e verga real di gemme e d’ori.
XV
LE DONNE DI VENEZIA
Voi che de l’Adria a le famose sponde
sovra l’ali de’ remi il volo ergete,
meraviglia ben fia se lá vedrete
moli eccelse e superbe uscir de l’onde.
Ma se candide membra e trecce bionde
vedransi, che de’ cor son fiamma e rete,
— Maggior beltá, stupor maggior — direte
— mai non si vide altrove, e forse altronde. —
— Qui — direte — è d’ardor piú che d’umore
ricca ogni riva, e fare al ciel qui piacque,
piú che libero il piè, prigione il core. —
Direte al fine: — In mar Venere nacque:
Veneri belle, ond’oggi nasce Amore,
nascono a mille a mille entro quest’acque. —