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g. f. maia materdona | 111 |
XII
GIUOCO DI NEVE
Cilla di bianco umor massa gelata
coglie e preme e ne forma un globo breve;
n’arma poscia la mano, a fredda neve
calda neve aggiungendo ed animata.
Al mio sen poi l’avventa, amante amata;
ma se finto è il pugnar, se ’l danno è lieve,
tragge pur da que’ scherzi offesa greve
l’alma, a provar gli antichi assalti usata.
Porta amico sfidar battaglia vera,
nascer dal riso il lagrimar si mira,
fa verace impiagar mentita arcera;
mirasi il duol uscir di grembo al gioco,
da nuvoli d’amor saette d’ira
e da strali di giel piaghe di foco.
XIII
LA LEGATRICE DI LIBRI
Costei ch’altero esempio è di beltate,
oh con che leggiadria, con che bell’arte
troncar le fila, adeguar sa le carte
ch’io con logiche penne avea vergate!
Poscia, di greve acciar le mani armate,
le batte e le ribatte a parte a parte,
e tra pelli sottil, tratta in disparte,
le rende in mille modi incatenate.
Lasso, e questa è d’amor frode novella,
inganno, oimè, che in atto umile e pio
scopre il fèro tenor de la mia stella.
Tronca il filo, ed è il fil del viver mio;
martella i fogli, ed il mio cor martella;
légagli, e son tra lor legato anch’io.