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giovan leone sempronio | 99 |
X
ALLA SUA DONNA
nell’atto che annoda le trecce
Lascia, Cilla gentil, lascia disciolte
le ricciutelle tue fila divine,
ché, ben che sparso e ben che sciolto, avvolte
ha pur mill’alme entr’i suoi lacci un crine.
Non voler di tue chiome aurate e fine
catenelle intrecciar lucide e folte;
lasciale pur su ’l bianco collo incólte
prezïose formar belle ruine.
Quanto è piú cólto un crin, tanto piú spiace;
ma quanto è lento piú, piú l’alme allaccia,
e quanto s’orna men, tanto piú piace.
E se treccia vuoi far, treccia si faccia;
ma si faccia fra noi treccia tenace,
non del tuo crin, ma de le nostre braccia.
XI
RICORDI DI VITA STUDENTESCA
a Bologna
In fin di qua dal mio natio terreno
parmi sentir, o mio gentil Ferrari,
che tra i cristalli suoi limpidi e chiari
mormori ancor le nostre gioie il Reno.
Ivi l’aria tranquilla e ’l ciel sereno
e i dí godemmo luminosi e cari,
e mille or dolci amori or colpi amari
n’arsero il core e ne feriro il seno.
Sovente io la tua donna e tu la mia,
tu con le tue preghiere, io co’ miei canti,
rendemmo al nostro amor tenera e pia.
Sovente ancor ci rasciugammo i pianti,
fèra placando orgogliosetta e ria,
fidi amici non men che lieti amanti.