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giovan leone sempronio 97

VI

LA DONNA DI ALTA STATURA

     Mentr’io teco tentava, idol diletto,
paragon di grandezza, altero amante,
provai com’ad Encelado è disdetto
giungere al ciel, bench’egli sia gigante.
     Ma nell’eccesso tuo fosti mancante,
e nel mio mancamento io fui perfetto:
tu picciola a l’amor, grande al sembiante,
ed io basso al sembiante, alto a l’affetto.
     Ben fui, nol niego, e temerario e stolto;
ma se non mi partii contento a pieno,
non fummi ogni piacer negato e tolto.
     Giunsi a baciare, idolo mio terreno,
se non gli amati fior del tuo bel volto,
i dolci frutti almen del tuo bel seno.

VII

LA MAESTRA DELLE FANCIULLE

     Stuol di varie fanciulle in giro accolte
davanti a la mia Clori un dí sedea,
ed ella molte in tesser tele e molte
in far trapunti ad instruir prendea.
     Lá, de le fila a l’arcolaio avvolte
un bianco e picciol globo altra facea;
qua, con le sete or annodate or sciolte
prezïose orditure altra tessea.
     — O tènere — diss’io — vaghe donzelle,
ch’or questi ite annodando or quei lavori,
ch’ite pungendo or queste tele or quelle;
     guardate ancor non imparar da Clori,
nemiche di pietá, d’amor rubelle,
a punger l’alme, ad annodare i cori.