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o(LI)o |
luto empircene la bocca, ma per l’altro è arrivato a tanta diligenza l’esattissimo Censore di numerargli i versi, in cui s’è fatta lecita simile temerità, ed ha osservato, che in una decina (non importa poi nulla, che sien due) in quattro righe, ch’è poi tutt’uno, che venti, ha commeslo sette peccati di questa sorta.
Che direm poi d’Anacreonte, che a giudizio del dall’Aglio non ebbe finora un fedel Traduttore. Povero Anacreonte! Il Corsini, dic’egli, e il Marchetti cantano divinamente, ma a lor talento, e capriccio parafrasano, non traducono. Ma che? La lor Parafrasi è ella buona? Se no, perchè non s’affibbia la giornea anche contra costoro? Se sì, con qual ragione mena egli contro di loro tanto rombazzo nel Frontispizio? Oppure è per sè stessa una cattiva cosa la Parafrasi? Noi non pertanto siam di parere, che non poi tutti gli Originali possano da qualunque lingua in qualunque altra egualmente trasportarsi Ad ogni modo noi giudichiamo, che per esser fedele fa duopo riportare non tanto le frasi, quanto le grazie natìe del Poeta tradotto. Se l’una, e l’altra di queste cose può ad un tempo ottenersi, perchè non s’ha a fare? Se no, dee il giudizioso Traduttore, a costo di mutarne le frasi, far che s’assaporino nella volgar lingua i colori, e le bellezze del Testo. Ora Anacreonte è sì fatto Poeta, che ha un dir melato, ch’è pieno zeppo di vezzi, tutto