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o( XXXIII )o

E vi sta malinconica, e passando
De l’Ore al prato, in rugiadoso campo
Dimora, o per lavar nel patrio fiume
Il corpo, in riva de l’Eurota alberga.
Ma piena di dolor così rispose
Lagrimando la povera fanciulla.
Ella pur troppo sa la via del monte,
E sa il corso de’ fiumi, e sa le strade
Al rosajo ed al prato. Oh che mi dite,
Donne Già cadon gli astri, e pur tra scoglj
Ella ancor dorme; sorgon gli astri intanto,
Ed ella ancor non torna. O Madre mia,
Che luogo baitu? Sovra qual monte hai stanza?
Than forfe uccifa, mentre eri perduta,
Le fiere? Ah no, poichè le fiere stesse
Temon la stirpe de l’illustre Giove.
Sei tu caduta giù da’ monti al piano
Lasciando il corpo tuo fra le deserte
Selve? ma scorso bo de’ fronzuti boschi
Le ombrose piante, fino a’ rami stessi,
Nè’l tuo corpo incontrai: No, non adunque
Accusiamo la selva. Il piacer forse
Di gir nuotando, te sommersa ascose
Nel sacro fiume del fecondo Eurota?
Ma dentro i fiumi ancora e nel profondo
Del mar vivon le Najadi, nè mai
Si sente, ch’esse uccidano le Donne.
Così piangeva, ma chinando il collo
Prese a dormir, giacchè compagno il sonne
E’ del morire; e se comun tra loro
Hanno ogni cosa, egli è ben forza ancora,