E spesso ancor ne solitarj ovili,
Vago sol di cantar cura non prese
De’ tori, e de le agnelle; onde tenendo
Il flauto, come è de’ Pastor buon uso,
A Pane, ed a Mercurio amici versi
Cantava e allora non latravan cani,
E Toro non muggia. Ma l’Eco sola,
Piena di vento e nel parlare indetta,
D’organi priva da l’Idee montagne
Suono rendeva. E saziati i Tori
Poi con la cima de la verde erbetta
Stando inchinati fu le pingui cosce
Prendean riposo, allorchè sotta a l’ombra
De l’alte piante il Pastorel cantando
Da lungi vide il Messaggier de’ Numi
Mercurio e pieno di timor levossi,
Che non soffriva de le Dee l’aspetto.
E d’un albero appiè le ben sonanti
Dolci canne lasciando, il canto ruppe
Non stanco ancora. Il Dio Mercurio intanto
Al timoroso in guisa tal parlava.
Posto in bando il timor, posta in non cale
La bella greggia a proferir quà vieni
Il tuo parer su le celesti Dee.
Vieni di loro a giudicar qual abbia
Maggior bellezza in volto, e a la più vaga
Porgerai questo pomo, amabil germe.
Tanto egli disse, e Paride fissando
L’occhio vezzoso, a divisar s’accinse
Placidamente la Beltà d’ognuna.
Mirava lo splendor de gli occhi azzurri,