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o( XI )o

De le Grazie che sia dicon Giunone:
Dicon, che regge impero,e che ha gli scettri,
Anche Minerva chiamano mai sempre
De le guerre Regina: io sola sono
Venere, imbelle Dea; non ho l’impero
De’ Re non l’asta marzial, nè il dardo.
Ma perchè mai senza ragion pavento?
Come se asta veloce avessi, io porto
De l’asta in vece un cingolo vezzoso,
Vincolo de gli Amori, al par del mele
Dolce, e con sorza pungo, e l’arco innalzo:
Cingol, per cui de l’Amor mio provando
L’estro, senton di spesso acerbe doglie,
Ma non per questo muojono le Donne.
     Così parlava, il suo cammin seguendo,
La Dea Ciprigna da le rosee dita;
E i compagni Amoretti udendo intanto
I cari cenni de la Madre, anch’essi
Confermavan suoi detti. E già Mercurio
Era del monte Ideo salito in cima,
Mentre pasceva la paterna greggia
Paride giovanetto e la pasceva
Divisamente presso al fiume Anauro;
Quivi la mandra de gli agresti Tori,
Quivi le truppe de l’ingorde agnelle.
A gli omeri di lui la pelle stava
Pendendo giù d’una montana capra,
Ed avea presso il pungolo, che muove
Al corso i Buoi. Così del flauto al fusone
Lento i passi movendo, ei ne le canne
Formava un dolce rustical concento.