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si compatisca. Se fu per forza rapita, e fuor d’ogni legge necessitata, ed offesa; cosa è pur chiara, che quel medesimo, che la rapì, e che l’offese, l’ingiustizia commise. Poichè se rapita Ella, ed offesa disavventure sofferse, degno è certamente quel barbaro, che a così barbaro attentato s’accinse, d’esserne e dalla legge, e da’ discorsi, e in realtà gastigato: dalla legge co’ disonori, da’ discorsi coll’accuse, e in realtà dalle pene. E se necessitata Ella fu, e vedova della Patria rimase, ed orfana d’amici, come più non merita compatimento, che maldicenze? Poichè se il rapitore gravi cose tentò, Elena gravi cose sofferse, giusto è, che questa pietà ne tragga, e quell’altra malevolenza. Che se poi da tale eloquenza fu persuasa, che la sua mente ne restasse ingannata, non è pur difficile intorno a questo difenderla, e liberarla dall’accuse, che a lei si fanno. Ella è l’eloquenza un gran Principe, che in un picciolissimo, e assai vil corpo divinissime imprese fa eseguire. Ed ha tal forza di sottrarre alcun dalla tema, d’alleggerirgli il dolore, di cagionargli allegrezza, e d’accrescergli compassione. Il fatto adunque fu tale, quale io vi mostrerò. Ma fa d’uopo con ornamento agli Uditori narrar le cose. La Poesìa tutta io la giudico, e la chiamo un’Orazione fatta con metro, colla quale negli Uditori fa nascere ed un orrore cinto di tema, e una misericordia piena di lagrime, e amica delle doglianze. Nell’opere altrui, e nella fortuna,