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e in qual maniera gli amorosi suoi voti adempisse chi Elena prese. Poichè il narrare a chi sa quelle cose, che sa, acquista ben fede, ma non reca dilettazione. Passando dunque in silenzio sì fatte circostanze di tempo, al principio mi condurrò nel mio futuro ragionamento, e proporrò le ragioni, per cui conveniente cosa era, che si facesse la spedizione d’Elena a Troja. Imperciocchè o per voler della sorte, e per comandamento de’ Numi, e per necessità del destino operò ciò, che fece, o per forza rapita fu, o da discorsi convinta, o presa da amore. Se il primo si diede, degno è d’esserne accagionato chi ne diede cagione. Ch’egli è impossibile colla provvidenza degli Uomini impedire la provvidenza d’un Dio. Nè vuol natura, che un più perfetto dall’inferiore dipenda, ma che l’inferiore dal più perfetto sia governato, e condotto. Il Superiore adunque comanda, e l’inferiore è soggetto. Or Dio è più perfetto dell’uomo e nella forza, e nel sapere, e in altre prerogative. Dunque o la fortuna, o Dio1 s’incolpi, o nella sua disgrazia Elena

    contrano. Fu non pertanto la struttura delle di lui Orazioni non men sublime stimata, che quella di Tucidide. Con sì fatte prevenzioni sapranno i Giovani dove imitare si debba, e dove no. Vantaggiosa è per lui quella testimonianza di Cicerone III. de oratore, ove pretende, che o non mai vinto fu Gorgia da Socrate, o solo in questo, che meno fu eloquente, e facondo.

  1. Parla Gorgia delle scomunicate Deità de’ Gentili: onde si può a lui passare quest’argomentazione.