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54 xxiv - pieraccio tedaldi

XXXVII

Chi indugia a rivolgersi a Dio, rischia l’inferno.

O uom, che vivi assai ir. questo mondo»
settanta, ottanta, novantanni o cento,
ed hai ciò, che ti piace, a compimento,
4ogni cosa ti va prospera e a tondo,
e vivi allegro e sano, e se’ giocondo,
e sanza numero hai oro ed argento
e be’ palazzi e donne al tuo talento,
8cavagli e roba e famigli in abbondo:
e tutto il tempo tuo non hai servito
a Dio. ma pur seguito il tuo diletto,
11né mai ti se’confesso né contrito;
si che dal gran nimico maledetto
subitamente tu sarai rapito:
14e meneratti al doloroso letto.

XXXVIII

Considera la sua cecitá come un meritato castigo

Se parte del vedere i’ ho mancato,
deh come mi sta ben, in veritade,
per che con gli occhi molta vanitade, •
4con ciascun d’essi, lasso! ho giá mirato.
Onde ho mortale e venial peccato
cogli altri quattro sensi in egualtade,
e non ho auto in me tanta bontade,
8essendo san, ch’i’ mi sia raffrenato.
Ma quello Iddio, che ci notrica e cria
veggendom’inver’lui isconoscente
11del lume, che m’avea dato in balia,
si m’ha mandato mò questo accidente,
per temperar la mia mala follia
14e per provare se io son paziente.