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50 xxiv - pieraccio tedaldi

XXX

Ma la lussuria di tempo in tempo lo vince.

S’io veggo il di, ch’i’ vinca me medesmo
per modo, che io lasci ogni lussura,
piú bene avrò, che l’uom, che rende usura,
4o che ’l giudeo quando piglia battesmo.
Ch’i’son ne l’anno terzo sessagesmo,
e talor pergo in si fatta bruttura;
onde mel tengo in gran disavventura,
8che dir non ne potrei pur el millesmo.
Ché gli occhi messagger del mio cor vago
mi mostrano or costei ed or colei,
11pungendomi coH’amarissim’ago.
Sonne contento, e pianger ne dovrei,
vedendomi annegare in questo lago;
14e mòro, trist’a me, gridando: — Oimei!

XXXI

Si sente riprendere da un’antica passione.

Tu sai la ’nfermitá mia de l’altr’anno,
quanta mi fu noiosa o malagevole
a comportalla; e quanta fu spiacevole,
4color, che l’han provato, si lo sanno.
Poi pur guari’, ed è duo volte un anno,
o poco men, ch’i’ fui di ciò godevole:
or vedi ben com’egli è convenevole
8ch’io vada ricadendo in tale affanno!
Ed io mi sento pur tornar nel core,
poi che tornò colui, ch’era partito,
11non so se dico pazzia o amore;
ed io sto in forse e son si sbigottito,
ch’i’fo come colui, che cerca onore,
14e fo pazzie, com’uom del senno uscito.