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xxiv - pieraccio tedaldi 41

XII

Lamenta la sua povertá.

E piccoli fiorili d’argento e d’oro
sommariamente m’hanno abbandonato,
e ciaschedun da me s’è allontanato
4piú, che non è Fucecchio da Pianoro.
Ond’io pensoso piú spesso addoloro,
che quel, che giace in sul letto ammalato:
però che’n cassa, in mano, in borsa o allato
8non vuol con meco nessun far dimoro.
Ed io n’ho spesso vie maggior bisogno,
piú, che non ha il tignoso del cappello;
11e giorno e notte gli disio e sogno:
e nessun vuole stare al mio ostello;
e poco vienmi a dire s’io gli agogno,
14ché ciaschedun da me si fa ribello.

XIII

Quello, che gli segue, quando gli mancano i denari e quando ne ha.

Omè, che io mi sento si smarrito,
quand’io non ho danar ne la scarsella:
dove sia gente a dir qualche novella,
4i’non son quasi di parlare ardito!
E, se io parlo, i’ son mostrato a dito,
c sento dirmi: — Ve’ quanto e’ favella! —
I’ perdo il cuor combina femminella,
8si, ch’io divengo tutto sbigottito.
E, quando i’ ho danari in abbondanza
in borsa, in iscarsella o paltoniera,
11i’sono ardito ed ho di dir baldanza;
dinanzi ho ’l cerchio e di driet’ho la schiera
di gente assai, che ciascuno ha speranza
14ch’io lo sovvenga per qualche maniera.