Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/86

80 vii - cecco angiolieri

XXXIV

Per quanto la donna ostenti indifferenza, non dispera d’intenerirla.

Figliuol di Dio, quanto ben avrò* avuto,
se la mia donna m’avesse degnato
di volermi per schiavo ricomprato,
4come colui, ch’a lo port’è venduto!
Me dolente, a le cu’ man son caduto!
ch’oggi giurò sii ne l’altar sagrato
che, s’ella mi vedesse strascinato,
8non dicerebbe: — Che è quello issutor —
M’Amor ne sie con le’, s’elli ’l può fare;
ché ma’ questa speranza non mi tolle,
11che ’l canto non mi torni ’n sufolare.
S’ella m’odiasse quanto Siena Colle,
si mi pur credo tanto umiliare,
14che ’l su’ cor duro ver’ del mi’ fi’ molle.

XXXV

Non ardisce chiedere, ma poi si fa coraggio.

I’ho si gran paura di fallare
verso la dolce gentil donna mia,
ch’i’non l’ardisco la gioi’domandare,
4che’l mi’coraggio cotanto disia;
ma’l cor mi dice pur d’assicurare,
per che ’n lei sento tanta cortesia,
ch’eo non potre’ quel dicere né fare,
8ch’i’adirasse la sua segnoria.
Ma, se la mia ventura mi consente
ch’ella mi degni di farmi quel dono,
11sovr’ogn’amante viverò gaudente.
Or va’, sonetto, e chiedile perdono
s’io dico cosa, che le sia spiacente:
14ché, s’io non l’ho, giá mai lieto non sono.