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i - rustico filippi 25

XLVIII

L’altrui maldicenza gli toglie talvolta la vista del bel viso.

Io non auso rizzar, chiarita spera,
inver’voi gli occhi, tant’ho gelosia;
e feremi nel viso vostra spera,
4e gli occhi abbasso e non so lá, ove sia.
Oi amorosa ed avvenante céra,
non mi tardate la speranza mia:
ch’ad onta de la gente malparliera,
8mi riterrete in vostra segnoria.
Deo, come son lontan dal me’ pensiero
li falsi e li noiosi maldicenti,
11ché lá non volgo l’arco, ov’eo ne fero!
Ma tuttavia mi fan soffrir tormenti:
ché spesso l’amoroso viso clero
14s’asconde per li falsi parlamenti.

XLIX

Soffre, ma non può palesare il suo segreto d’amore.

Quant’io verso l’Amor piú m’umilio,
a me piú mostra (èra segnoria;
e piú monta e piú cresce il meo disio,
4e piú mi tien doglioso notte e dia.
Adunque, lasso! corno faraggio io,
se non mi soccorrete, donna mia?
Se mi tardate, bella, a lo cor mio
8durar non pò piú vita, anzi va via.
Ciascun mi guarda in viso e fa dimando,
veggendomi cangiato lo visaggio:
11ed io celo la doglia mia in parlando.
E non ardisco dir lo meo coraggio,
per ch’io l’ho da la mia donna in comando;
14oiinè lasso, ch’attendendo morraggio!