Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/240

234 xx - messer niccolò del rosso

LXXIV

Espone alcune sue speranze vane.

Oh fuss’él vero, cum’igli è busia,
la fama, ch’ebb’el cavalier francesco:
ché tutta Italia terria lo tedesco
4solo en sua ampia dolze segnoria.
Lo prinze degli uzzelli viviria
di poco pasto col bissone a desco,
e il bianco cesno canteria piú fresco,
8se non quanto v’è ’l meno ’n lor follia.
Ma pur eo spero en cotal fole vane:
vulgo di popol, iudicio divino;
11quel, che non è ozi, sera domane.
E, se Morte mi fazess’endivino,
d’onni mia offesa me doplaria paga,
14sendomi en loco, ch’eo toccass’la plaga.

LXXV

Ricevendo notizie contraddittorie dei fatti gí Toscana.

Al cor mi diedi l’altrier grande impiglio,
quando sonò di Toscana il falso eco:
se non che, contemplando il claro spleco,
4parvenT inmaculato el zentil ziglio.
Allor, posato, dissi: — Eo meraviglio
come l’aquila, sol battendo il beco,
tra’ soi subditi induga tanto greco,
8che fuor del buio parano a consiglio. —
Poi, lo secondo die o ver lo terzo,
si scoperse la lucana epidimia
11dii molto sangue, ch’el suolo fee lerzo.
Unde a’ fedeli fu leticia minia,
da che P insegne reali propinque
14metteno a morte chi ver’lor delinque.